Una casa che si trasforma in un piccolo universo
Se desiderate comprendere l’anima della Serbia, non iniziate da un elenco di musei e monumenti. Iniziate da una casa comune, in cui in quel giorno nulla accade in modo “ordinario”. Sulla parete, l’icona del santo patrono della famiglia; sul tavolo, una candela, il grano e il profumo del pane cerimoniale appena sfornato; nell’ingresso, una pila di cappotti; e dalla cucina, voci che si intrecciano con l’aroma dell’arrosto e dell’insalata russa. Benvenuti alla Slava – una festa familiare unica al mondo.
La Slava è il giorno in cui una famiglia onora il proprio santo patrono, il protettore della casa. È una tradizione tipica soprattutto dei serbi ortodossi e viene trasmessa di generazione in generazione, solitamente dal padre al figlio, come una potente ma invisibile “carta d’identità” familiare.
Sebbene sia profondamente radicata nelle usanze ecclesiastiche, la Slava si celebra in casa. In quel giorno, le porte sono spalancate per parenti, amici, vicini… Come dice il proverbio: “Alla Slava non si viene invitati – si viene e basta.” Chiunque conosca la data arriva, e il padrone di casa ha il dovere di accogliere tutti come ospiti d’onore. Con un sorriso, naturalmente, e una tavola imbandita.
Il pane che racconta una storia: il pane della Slava
Al centro di questa celebrazione non c’è una montagna di regali, ma un solo pane. Il pane della Slava – un pane festivo, riccamente decorato e preparato con pasta lievitata – è forse il modo migliore per comprendere come la Slava unisca con delicatezza fede, tradizione e intimità familiare.
Il pane viene preparato il giorno precedente. Nelle famiglie tradizionali, la padrona di casa lo impasta dopo una preghiera, con le mani pulite e con particolare cura, spesso usando acqua benedetta. Sulla superficie si modellano una croce, grappoli d’uva, spighe di grano, una colomba o le iniziali “IC XC NI KA” – piccoli simboli in rilievo di speranza, vita e pace.
Il giorno della Slava, il pane resta sul tavolo accanto a una ciotola di grano bollito (koljivo o žito, grano cotto con noci e zucchero, in memoria degli antenati) e a una candela alta di cera recante l’immagine del santo. Quando arriva il sacerdote, o quando la famiglia si riunisce in chiesa, il pane viene cosparso di vino, inciso a forma di croce, girato e spezzato insieme. Quel momento, quando più mani reggono il pane contemporaneamente, è un piccolo rituale di unione, come se l’intera famiglia respirasse per un istante con gli stessi polmoni.
La simbologia è chiara anche per chi assiste per la prima volta: il pane rappresenta il corpo di Cristo, il vino il suo sangue, il grano la resurrezione e la vita eterna, e la candela la luce destinata a illuminare la casa per tutto l’anno. Tuttavia, nella pratica, tutto appare caldo, intimo, leggermente solenne e per nulla “messo in scena per turisti”. È ciò che rende la Slava così speciale.
Per quanto possa sembrare modesta – una sola casa, una sola famiglia, una sola tavola –, la Slava da tempo ha superato i confini di un solo popolo. Grazie alla sua unicità e al suo ruolo nella preservazione dell’identità e della tradizione familiare, nel 2014 l’UNESCO ha iscritto la Slava nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità come bene unico della Serbia.
Per un viaggiatore che entra per la prima volta in una casa nel giorno della Slava, la prima impressione è la tavola imbandita. A seconda che si tratti o meno di un giorno di digiuno, sulla tavola compaiono piatti magri o ricchi: salumi, formaggi e ajvar, involtini di cavolo, arrosti, torte salate e gibanica, insalate russa e francese, sottaceti fatti in casa, pane di mais, zuppe, dolci e torte. Il tutto accompagnato da un bicchiere di vino o rakija e da un brindisi alla salute degli ospiti e dei padroni di casa.
Eppure, l’essenza della Slava non sta in “quanto” cibo ci sia, ma in “chi” siede attorno alla tavola. La Slava è allo stesso tempo un ricordo degli antenati e una promessa alle generazioni future che questa casa continuerà a riunirsi intorno allo stesso santo e agli stessi valori. Per questo molte scuole, città e persino istituzioni hanno il proprio santo patrono e la propria Slava – dall’Ascensione di Belgrado alla festa di San Sava nelle scuole.
Per un ospite straniero, un invito alla Slava è forse il complimento più grande che si possa ricevere in Serbia. Significa che non si è “solo turisti”, ma quasi membri della famiglia. Il vostro “biglietto d’ingresso” è un sorriso, una sincera curiosità e, idealmente, la disponibilità a dire “živeli” almeno una volta. Se inoltre imparate a non rifiutare una seconda fetta di torta, il padrone di casa probabilmente vi considererà “dei nostri” per sempre.
Quindi, quando pianificate un viaggio attraverso la Serbia, accanto a monasteri, montagne e città, lasciate spazio anche a ciò che non può essere segnato su una mappa – un invito alla Slava. È il momento in cui un itinerario turistico si trasforma in una storia familiare, e voi, da visitatori, diventate ospiti a una tavola che custodisce memoria, fede e, naturalmente, una miriade di irresistibili prelibatezze.
L’UNESCO in cucina: una tavola che unisce ospiti e padroni di casa
*Translation powered by AI